Il tea pairing con l’Irish gin Minke

Decisamente guardinghi – se non addirittura sospettosi – verso il panorama dei gin new wave, ci eravamo riproposti di concentrarci quasi esclusivamente sui brand London dry all’ultimo White Spirits Festival nella ormai consolidata sede dell’hotel Marriott in via Washinton a Milano.

Se da un lato gli eccessi di adattamento del gin a palati più semplici hanno portato a veri e propri percorsi di snaturamento di questo distillato dalla sua identità originaria – con invadenti presenze di glucosio oppure con procedimenti di manifattura che determinano in realtà delle soluzioni ibride fra distillato e liquore, ai limiti dell’abuso di categoria – dall’altro lato è pur vero che nel campo del gusto uno dei rischi che sempre incombono è quello di finire con l’ammazzare la curiosità.

Ci ha pensato Taste Of Spirits – distributore in prevalenza di whiskey e gin irlandesi – a sollecitare la nostra attenzione, offrendoci un sorso del gin “Minke”, prodotto nella Clonakilty Distillery.
Ma questo stand è stato uno di quelli che più si sono distinti, nel fine settimana del festival, per l’originalità della comunicazione: “Fatti mandare dalla mamma a prendere un gin” era la scritta che si stagliava su di un cartello collocato in cima a un gran bidone per il latte. La surrealistica scena si spiegava poco dopo aver cominciato a parlare con l’(ormai) amico Beppe Durante, il quale ha spiegato come il gin Minke viene prodotto a partire da un distillato di primo grado ottenuto non dal convenzionale grano; ma da un siero di latte, opportunamente separato dalla parte grassa, al quale sono stati aggiunti subito dopo dei lieviti ad hoc per la successiva trasformazione in alcol etilico.

A questo distillato di base sono poi aggiunte le tradizionali botaniche, fra le quali spicca nel Minke la salicornia; una varietà di finocchio marino endemica lungo le coste atlantiche irlandesi. Ed è proprio questa pianta ad attribuire le più spiccate caratteristiche al Minke, con la sua indole sospesa fra terra e mare: questa pianta ha infatti la capacità di insediarsi anche su terreni salmastri, e questa circostanza è destinata a riversare i suoi effetti nel sorso di questo nettare.

Non si è certo in grado di ricollegare questo distillato alla materia agricola usata per la fermentazione dell’alcol: se non si sapesse che si tratta di siero di latte, non lo si potrebbe autonomamente immaginare. E, tuttavia, questa conoscenza forse spiega – a posteriori – una qual certa nota “appetitosa” che si accompagna al profumo e al sorso; e anche un corpo dalla delicata tessitura all’attacco, ma che sa cedere il campo subito dopo a un effetto più aspro (dovuto invece al gioco delle botaniche).

La sensazione ortonasale è quella di una profonda nota di ginepro, corredata da riconoscibili spunti iodati e speziati. Al sorso, il Minke rivela una sorprendente complessità: vellutato al palato al primo impatto, diventa subito dopo piccante e salmastro. Alle note aromatiche già percepite poco prima del sorso si aggiunge, in persistenza retronasale, una combinazione citrico-amaricante che si stabilizza in seguito con ulteriori toni balsamici e leggermente resinosi.

L’aggiunta di un goccio d’acqua ha l’effetto di rendere il sorso più aspro e ruvido fin dall’inizio con un più poderoso dispiegarsi degli aromi, amplificati in persistenza e redistribuiti anche qualitativamente in percezione retronasale. Due declinazioni entrambe interessanti e sicuramente da alternare, quelle consentite dall’aggiunta del goccio d’acqua.

Abbiamo sorseggiato il Minke accompagnandolo a sorsi di un the fermentato pu ‘ehr shu in versione loose leaves, dalla provincia cinese dello Yunnan, con foglie invecchiate dal 2005: note di terra e sottobosco di humus hanno egregiamente guarnito la degustazione, mentre il sorso di the assicurava anche la detergenza utile a rilanciare un nuovo sorso di Minke!

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